mercoledì 9 febbraio 2011

"Le canzoni d'amore" di Christophe Honoré

Risale al 2007 Les chansons d'amour. Il titolo è paradigmatico ed esplicativo: si tratta di un musical francese, un film che parla d'amore - e di sesso.
La commedia musicale è tornata in voga in Italia nell'ultimo decennio, ma solo in teatro: rimane pur sempre un genere di nicchia ed è anche per questo che, con tutta probabilità, la pellicola non è stata distribuita, considerati anche il prevedibile flop negli Stati Uniti (Love songs) e le magre figure fatte poi al botteghino da Nine o Across the universe.

Se non fate parte di questa succitata nicchia, quest'opera potrebbe non esser pane per i vostri denti. E potrebbe non essere facile da masticare neanche per gli amanti degli spettacoli di Broadway, perché "Le canzoni d'amore" è un film drammatico e malinconico. I pezzi composti da Alex Beaupain (vincitore di un César Award per questo lavoro) non stonerebbero in un album di Carla Bruni, né per melodie né per interpretazione, giacché gli attori chiamati a intonarli non si distinguono per significative doti vocali. Ci si strugge, ci si interroga sul senso della passione, sui rischi che abbandonarsi ad essa comporta.

Il film, scritto e diretto da Christophe Honoré (nominato al Festival di Cannes), sembra essere ritagliato intorno a Louis Garrel, figlio d'arte divenuto noto al pubblico - soprattutto femminile - con il controverso The dreamers di Bernardo Bertolucci. Così come nell'opera ambientata nel Sessantotto il giovane era implicato in un torbido triangolo, così qui viene rilanciato nella mischia, prima in una relazione aperta con due donne, poi in una sperimentazione ulteriore. Tutte le fan che avevano sognato con Bertolucci possono qui ritrovare qualche palpito o fremito.
Ciò non toglie che il cast è solido, cast in cui spicca un'altra figlia d'arte, Chiara Mastroianni.

Se tutte queste premesse vi solleticano, piuttosto che allontanarvi, non resta che un avvertimento: il film si divide in due parti per colpa di un evento che non anticipiamo. A seconda dei gusti - soprattutto sessuali - avrete un miglior ricordo di una delle due metà.

martedì 22 giugno 2010

"Io e Orson Welles" di Richard Linklater


UPDATE: Il film è stato poi distribuito in Italia in DVD e Blu-ray alla fine del 2010!

Richard Linklater è un versatile regista americano indipendente. Ha conquistato il cuore di romantici e filosofi con Prima dell'alba e sequel (Prima del tramonto), la testa dei filosofi più duri con l'onirico ibrido Waking life, gli amanti della musica con School of Rock e gli amanti della fantascienza con A scanner darkly da Philip Dick. Tra il 2008 e il 2009, ha puntato la freccia del suo talento verso altri lidi, accettando di girare l'adattamento del romanzo "Me and Orson Welles" di Robert Kaplow.

Nel novembre 1937, Richard (Zac Efron) è un aspirante attore che a suo dire ama "teatro, film, musica, poesia, romanzi, radio" e che non spasima per la scuola, con buona pace di sua madre e di sua nonna. Da un giorno all'altro guadagna il ruolo - ufficialmente pagato, ufficiosamente gratuito - nel piccolo ruolo di Lucio nel Giulio Cesare diretto da Orson Welles (Christian McKay) a pochi giorni dalla prima, in un modo che unisce faccia tosta e fortuna da tipico immaginario americano. Le prove sono l'occasione per conoscere meglio il misterioso regista, che lo prende in simpatia e lo etichetta come "Junior", e per fare il filo alla desideratissima e intrigante segretaria di produzione, Sonja (Claire Danes). Gli ostacoli sono tutti dietro l'angolo: incidenti, ritardi, litigi con la produzione.
E' al Teatro Mercury di Broadway va in scena questa acclamatissima interpretazione dell'opera di Shakespeare, ripensata in abiti moderni e in chiave anti-nazista - il genere di eventi che vorrebbe farti possedere una macchina del tempo.

La pellicola è esteticamente retrò: non solo in scenografie, costumi e musiche, tutte rigorosamente della Golden Age; non solo nella recitazione, alquanto teatrale e che vogliamo pensare voluta, in linea con l'ambientazione e il tema; ma anche nelle inquadrature, nella sceneggiatura da manuale dei coniugi Palmo, o ad esempio nella scelta di radiare il sesso, nonostante questa eleganza sia sporcata dai "son of a bitch" e dalle bestemmie che ogni due per tre il regista si lascia sfuggire.
E a proposito di Orson Welles, indubbiamente il suo personaggio catalizza l'attenzione. Larger than life, direbbero gli anglofoni. Sonja ne parla in questi termini: "... molto egotico, molto brillante, ha letto qualsiasi cosa, sa qualsiasi cosa... non criticarlo mai", e in effetti il ritratto è un burbero e anempatico genio, esigente sul lavoro, brillante come attore di cinema, teatro e radio, implacabile, permaloso, traditore; sposato, in attesa di un figlio, non è frenato dal corteggiare qualunque femmina degna di questo nome. Portare sullo schermo un gigante di tal fatta, una colonna portante della cinematografia mondiale dev'essere stata una sfida da far tremare i polsi per il regista, per gli sceneggiatori e soprattutto per McKay che ci ha messo la faccia e la voce. Pur mancando in avvenenza e fascino dell'originale, la sua interpretazione è vigorosa e degna. E ambigua, del tipo che lascia lo spettatore spiazzato e confuso.

Alle fan di Zac Efron farà piacere sapere che il loro idolo ce la mette tutta per essere all'altezza dell'ottimo cast, con risultati apprezzabili; si avverte la fatica e la serietà con cui affronta i suoi copioni. E Linklater (o i produttori per lui) non si lascia sfuggire l'occasione di fargli sfoggiare la sua versatilità, facendolo cantare in scena con un ukulele (!) e con un'interpretazione coreografata pur se in prosa.
Il mistero sta nel fatto che il film è stato presentato al Festival di Cannes, è di un autore apprezzato dalla critica e vede come protagonista il giovane Efron che ha centinaia di migliaia di fan nel mondo e in Italia. Perché tante difficoltà nel distribuirlo in patria e da noi?

sabato 19 giugno 2010

"Zack e Miri girano un porno" di Kevin Smith

Aggiornamento: il film viene distribuito in Italia con tre anni di ritardo, dal 1 giugno 2011, in stagione estiva, con il titolo Amore... a primo sesso e con il divieto di visione ai minori di 14 anni.

Kevin Smith è un regista americano di culto e che, di conseguenza, il grande pubblico ignora.
Un artista completo, che si cimenta anche nella sceneggiatura di fumetti e nella recitazione - suo il ruolo di Silent Bob, personaggio-feticcio insieme a Jay, comprimario di numerosi film, fino agli onori di Jay e Silent Bob... fermate Hollywood!.
Potreste aver sentito parlare di Clerks e Clerks 2, come del blasfemo Dogma. Tutta la sua spassosissima filmografia viene regolarmente doppiata in Italia... con una notevole eccezione: un film del 2008 il cui titolo pare aver creato problemi di distribuzione persino in madrepatria.

Zack (Seth Rogen) è uno spiantato commesso in una caffetteria e convive con la sua amica d'infanzia Miri (Elizabeth Banks), con cui non c'è stato mai nulla e con cui non è previsto succeda mai nulla. La loro gestione dell'economia domestica è disastrosa e, quando le bollette scadono e si ritrovano senza luce né gas, dopo aver escluso ogni altra opzione, un piccolo episodio dà loro la folgorazione: guadagnare qualche soldo girando in prima persona un film porno amatoriale.
Quest'incipit è sufficiente per rendere l'idea dei toni e degli scopi di questa commedia erotico-sentimentale. Come nel miglior stile del regista-sceneggiatore, le battute si susseguono senza molte soste, sempre al fulmicotone, sempre con una sana dose di scurrilità e dialoghi-da-strada. Davvero difficile smettere di sorridere per tutta la durata del film. Il merito è anche del cast di vivissimi comprimari tanto dello stesso Zack and Miri make a porno quanto del fantomatico immaginario film porno, compreso il Lester interpretato da quel Jason Mewes che, finalmente, ha smesso i panni del succitato Jay senza perdere la sua irresistibile simpatia.
Ce n'è per tutti i gusti: spregiudicato ed erotico per i nerd in fregola, romantico per il pubblico femminile, divertente per chiunque abbia un senso dell'umorismo degno di questo nome.
Il consiglio, insomma, è di procurarvi questa pellicola nei modi consentiti dalla legge e che non ne pregiudichino fruibilità e godibilità.

venerdì 18 giugno 2010

"Su un raggio di luce" di Gene Brewer

Nel 1995 il biologo americano Gene Brewer esordisce come scrittore con il romanzo K-PAX. La classificazione di un genere non è immediata. La vicenda ruota intorno a uno psichiatra che si ritrova a dover curare un paziente che afferma di essere l'alieno prot, proveniente dal pianeta K-PAX, con una civiltà utopica che, tra le altre cose, conferisce solo ai corpi celesti l'onore del "maiuscolo" (ecco perché il nome del protagonista è sempre in minuscolo). L'analisi dello specialista porta a galla la storia di Robert Porter, un uomo traumatizzato dalla morte della sua famiglia che si è apparentemente rifugiato nella fantasia del suo amico extraterrestre. Tutto sembrerebbe rientrare nella normalità, senonché il dubbio permane nella mente del lettore: prot (in Italia ribattezzato "trob" per non meglio specificabili motivi) è sensibile alla luce ultravioletta, dimostra di avere nozioni ignote di astronomia e fa venire il sospetto di saper parlare con gli animali. Ciliegina finale: quando l'alieno "riparte" (ovvero, il suo alter ego Robert entra in uno stato di catalessi), un'altra paziente scompare insieme a lui, misteriosamente. L'ha portata con sé su K-PAX, come aveva più volte preannunciato? L'autore lascia decidere al lettore se il romanzo sia di fantascienza o no?
Nel 2001 il romanzo, pubblicato in Italia da Baldini&Castoldi, ormai fuori catalogo, è stato la base di un film con protagonisti Kevin Spacey, nel ruolo di Robert/prot, e Jeff Bridges, nei panni dello psichiatra Mark Powell. La pellicola traspone fedelmente la trama e lo spirito del libro. Entrambi, però, non ricevono il successo che meritano, nel nostro paese. Per questo gli editori nostrani non si sono cimentati nella pubblicazione del seguito della saga.

Sì, perché a "K-PAX" hanno fatto seguito tre romanzi, traducibili come "Su un raggio di luce", "I mondi di prot" e "Un nuovo visitatore dalla costellazione della Lira".
Dal momento che queste opere rimarranno inedite a tempo indeterminato, abbiamo letto per voi "On a beam of light", il secondo capitolo della saga di prot.
Brewer riprende lo schema fondante del lavoro precedente: ogni capitolo è dedicato ad una seduta tra Powell e prot, corredata da tutti gli eventi che concorrono ad ogni incontro. La narrazione riprende un lustro dopo dove era stata interrotta: quando prot era "scomparso" dal Manhattan Psichiatric Institute, aveva preannunciato che sarebbe tornato cinque anni più tardi. Poco tempo prima del termine, l'attesa si fa spasmodica. Puntuale come un orologio, Robert Porter esce dal suo stato catatonico per dare voce al suo alter ego alieno.
Come nella precedente esperienza, la sua presenza provoca un certo scalpore, maggiore che in passato. prot, da buon alieno proveniente da una civiltà superiore, ha un approccio diverso al mondo terrestre e, in particolare, al microcosmo dell'istituto psichiatrico in cui si trova (volontariamente?) recluso. I suoi interventi riescono a far migliorare lo stato di salute dei suoi colleghi internati in un batter d'occhio, superando gli sforzi di anni degli specialisti del luogo, Mark Powell compreso. Centinaia di persone hanno saputo del suo precedente "passaggio" e desiderano mettersi in contatto con lui, soprattutto per chiedergli di portar loro con sé su K-PAX. Scienziati di ogni campo chiedono colloqui con il paziente, che dimostra ancora una volta di essere un discreto idiot savant, di avere un innaturale feeling con gli animali... e, incredibilmente, in diretta televisiva, sembra dimostrare di poter viaggiare davvero alla velocità della luce! prot infatti ha sempre dichiarato di poter viaggiare sui raggi di luce - da cui il titolo del libro. Le prove a sostegno della sua natura extra-terrestre, pur tra mille dubbi, aumentano; eppure, parallelamente, le ricerche dello scettico dottor Powell sembrano smentire tutto. La psiche ferita di Robert Porter rivela ferite sempre più profonde, un disturbo della personalità ancora più accentuato di quello diagnosticato in precedenza.
Dove sta la verità? Anche per questo episodio, l'autore ci lascia nel dubbio. La spiegazione paranormale è che prot riesca a vivere in simbiosi con il suo amico terrestre e a lasciare il suo corpo a piacimento. In realtà, tutto porta a credere che prot sia solo un parto della mente malata di Robert. Ma come si spiegano le sue doti innaturali e le sue peculiarità? Forse il predominio della mente umana sul corpo arriva fino a tanto?
A corredo della trama principale, Gene Brewer caratterizza un intenso brulicare di personaggi intorno alle figure dei protagonisti, tra i dottori e i pazienti dell'istituto e i parenti di Mark Powell, mostrandoci come un "malato di mente" riesca a sconvolgere, in positivo, la vita di tante persone che lo circondano, indirettamente o meno.
Per concludere, il vero fascino della saga risiede probabilmente nelle esternazioni di prot. Esprimendo un punto di vista esterno alla Terra, tramite la sua voce l'autore riesce a mettere in discussione tutto il nostro sistema, in maniera satirica e molto pungente. Il lettore è costretto a rivedere il proprio mondo da un altro punto di vista inedito. Forse, se tutti leggessero le pagine di Gene Brewer, qualcosa potrebbe davvero cambiare...?

Per chi fosse interessato, ulteriori informazioni possono essere trovate sul sito ufficiale dell'autore, mentre i libri della saga possono essere acquistati nei negozi on-line.